Una madre ebrea
Qui si narra la storia di una donna dal nome ignoto, così deve essere: Lei, semplicemente Lei, mia madre. Una madre ebrea. A ventinove anni con il matrimonio misto, per Lei si apre il rifugio dalle leggi antiebraiche a fianco del marito militare, vedovo e solo con due figlie. Rea di averle derubate dell'amore paterno, fin dalle nozze l'esistenza di Lei si deforma in segregazione e disumano lager familiare, scivola in deportazione e cade nell'agguato di un male senza ritorno. A nessuno lo svela, neppure al marito, abbattuto anch'egli dalle angherie delle figlie ribelli e dissolute. Aggredita e minacciata di denuncia alle SS, torturata a vita nella gabbia della sua dimora, è tradita dalla figlia e sopravvive con il solo amore del figlio Emanuele.
Aletti Editore
Collana: Gli emersi narrativa
Anno pubblicazione: 2020
404 p. € 18
Aletti Editore
Collana: Gli emersi narrativa
Anno pubblicazione: 2020
404 p. € 18
Intervista
dell'Editore Aletti a Vincenzo Rampolla autore di Una madre ebrea:
dell'Editore Aletti a Vincenzo Rampolla autore di Una madre ebrea:
Partiamo proprio dal titolo, come mai Una madre ebrea? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Il titolo è la chiave per capire la storia, una storia vera, pur se qualificata romanzo.
Una, articolo indefinito, già rende generica la protagonista. Non è la madre, ma la storia di una donna dal nome ignoto. Così deve essere: Lei, semplicemente Lei, una madre ebrea. Mia madre.
Madre, per il pieno significato della parola, in quanto donna, sposa e genitrice, quindi il libro parlerà della donna ebrea, della madre ebrea, dei suoi figli e della sua vita.
Ebrea, perché figlia di ebrei. Nel suo matrimonio misto con un marito militare, vedovo e rimasto solo con due figlie, trova rifugio dalle leggi antiebraiche negli anni prima del conflitto mondiale.
Argomento fondamentale è il fatto che Lei, fin dalle nozze è rea di avere derubato le figliastre dell’amore paterno, e la sua esistenza si deforma in segregazione e disumano lager familiare, scivola in deportazione e cade nell’agguato di un male senza ritorno. Nessuno scopre, neppure il marito, abbattuto anch’egli dalle angherie delle figlie ribelli e dissolute. Aggredita e minacciata di denuncia alle SS, torturata a vita nella gabbia della sua dimora, è tradita dalla prima figlia Rachele e sopravvive con il solo amore del figlio Emanuele (l’autore).
Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Come ho detto, la storia è vera, assolutamente reale e vissuta dall’autore, con l’eccezione di alcuni episodi marginali. Nel primo manoscritto erano previste 67 piccole fotografie dell’epoca e odierne, dei personaggi, della protagonista e dei luoghi in cui si svolge la storia. L’Editore ha sconsigliato l’uso delle foto.
Vivere l’esperienza di lager familiare è unica e da far conoscere. È per me dovere e bisogno, nel rispetto e nel ricordo di chi mi ha dato la vita e mi ha educato alla pace e all’amore per il prossimo.
La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Credo che il libro sia una solida testimonianza dei più elevati e dei più crudeli aspetti della natura umana, nella donna e nell’uomo, a qualunque età, capaci di emergere e manifestarsi per un arco di tempo di 40-50 anni fino a portare alla morte i componenti di una famiglia, nucleo trasformato in un reale lager moderno, con decessi negli anni ’60 e 70.
Solo dalla lettura del libro si può toccare dal vivo la coesistenza delle parole amore, dedizione e libertà con odio, tradimento e tortura fisica e psicologica nei rapporti fratelli-sorelle, padre-figli e madre-figli.
A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito Una madre ebrea, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Un primo episodio è costituito dalle parole sussurratemi da mio padre sul letto di morte a 20 anni, giuramento di condotta nei confronti delle sorellastre artefici della disgregazione familiare.
Un secondo episodio è rappresentato dalla rivelazione a 30 anni da parte di mia madre, di essere ebreo, figlio di madre ebrea, fatto che mi era sempre stato tenuto nascosto, segreto di famiglia fin dal giorno della mia nascita nel ‘43. A quella data la mia sorellastra aveva in mente di denunciare la matrigna alle SS e di spedirci entrambi a Auschwitz.
Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Considero di importanza culturale e tecnica la formazione ricevuta nello studio approfondito di A.Manzoni, J.Joyce, F.Kafka, G.Grossman e T.S.Eliot.
Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Forte influenza dalle opere e dagli scritti di Van Gogh, P.Picasso, P.Klee e W.Kandinsky.
Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Cultore appassionato delle opere di E.A.Poe, F.Celine, A.Gide e P.P.Pasolini.
Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Nessuna preferenza. Entrambi perfetti per la loro fascia di lettori.
Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Il mio rapporto con la scrittura è intimo, nel senso letterale della parola. Tengo corsi di scrittura creativa da più di 10 anni e il mio modello è H.de Balzac: una pila di fogli bianchi a sinistra al mattino e 8 ore dopo, una pila di fogli scritti a destra. Il computer facilita enormemente la redazione: copio su carta quello che ho in testa in quel momento, ispirandomi a Picasso: copio su tela quello che la mente vede in quel momento.
Un motivo per cui lei comprerebbe Una madre ebrea se non lo avesse scritto.
Solo perché parla di una madre, indefinita e per giunta ebrea, lo comprerei subito.
Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Ho in cantiere una Trilogia di volumi di racconti brevi e brevissimi, con circa 180 racconti pronti da inviare all’Editore.
Devo aggiungere che è appena uscito in libreria Aio, una storia vera, 30 anni di scritti dal carcere, finalista con medaglia al premio Internazionale Salvatore Quasimodo.
Vincenzo Rampolla
30 agosto 2020
Partiamo proprio dal titolo, come mai Una madre ebrea? Quali sono gli argomenti ricorrenti, o per lei fondamentali, che tratta in questo volume?
Il titolo è la chiave per capire la storia, una storia vera, pur se qualificata romanzo.
Una, articolo indefinito, già rende generica la protagonista. Non è la madre, ma la storia di una donna dal nome ignoto. Così deve essere: Lei, semplicemente Lei, una madre ebrea. Mia madre.
Madre, per il pieno significato della parola, in quanto donna, sposa e genitrice, quindi il libro parlerà della donna ebrea, della madre ebrea, dei suoi figli e della sua vita.
Ebrea, perché figlia di ebrei. Nel suo matrimonio misto con un marito militare, vedovo e rimasto solo con due figlie, trova rifugio dalle leggi antiebraiche negli anni prima del conflitto mondiale.
Argomento fondamentale è il fatto che Lei, fin dalle nozze è rea di avere derubato le figliastre dell’amore paterno, e la sua esistenza si deforma in segregazione e disumano lager familiare, scivola in deportazione e cade nell’agguato di un male senza ritorno. Nessuno scopre, neppure il marito, abbattuto anch’egli dalle angherie delle figlie ribelli e dissolute. Aggredita e minacciata di denuncia alle SS, torturata a vita nella gabbia della sua dimora, è tradita dalla prima figlia Rachele e sopravvive con il solo amore del figlio Emanuele (l’autore).
Quanto la realtà ha inciso nella scrittura?
Come ho detto, la storia è vera, assolutamente reale e vissuta dall’autore, con l’eccezione di alcuni episodi marginali. Nel primo manoscritto erano previste 67 piccole fotografie dell’epoca e odierne, dei personaggi, della protagonista e dei luoghi in cui si svolge la storia. L’Editore ha sconsigliato l’uso delle foto.
Vivere l’esperienza di lager familiare è unica e da far conoscere. È per me dovere e bisogno, nel rispetto e nel ricordo di chi mi ha dato la vita e mi ha educato alla pace e all’amore per il prossimo.
La scrittura come valore testimoniale, cosa ha voluto salvare e custodire dall’oblio del tempo con questo suo libro?
Credo che il libro sia una solida testimonianza dei più elevati e dei più crudeli aspetti della natura umana, nella donna e nell’uomo, a qualunque età, capaci di emergere e manifestarsi per un arco di tempo di 40-50 anni fino a portare alla morte i componenti di una famiglia, nucleo trasformato in un reale lager moderno, con decessi negli anni ’60 e 70.
Solo dalla lettura del libro si può toccare dal vivo la coesistenza delle parole amore, dedizione e libertà con odio, tradimento e tortura fisica e psicologica nei rapporti fratelli-sorelle, padre-figli e madre-figli.
A conclusione di questa esperienza formativa che ha partorito Una madre ebrea, se dovesse isolare degli episodi che ricorda con particolare favore come li descriverebbe?
Un primo episodio è costituito dalle parole sussurratemi da mio padre sul letto di morte a 20 anni, giuramento di condotta nei confronti delle sorellastre artefici della disgregazione familiare.
Un secondo episodio è rappresentato dalla rivelazione a 30 anni da parte di mia madre, di essere ebreo, figlio di madre ebrea, fatto che mi era sempre stato tenuto nascosto, segreto di famiglia fin dal giorno della mia nascita nel ‘43. A quella data la mia sorellastra aveva in mente di denunciare la matrigna alle SS e di spedirci entrambi a Auschwitz.
Quali sono le sue fonti di ispirazione: altri autori che ritiene fondamentali nella sua formazione culturale e sentimentale?
Considero di importanza culturale e tecnica la formazione ricevuta nello studio approfondito di A.Manzoni, J.Joyce, F.Kafka, G.Grossman e T.S.Eliot.
Ci sono altre discipline artistiche, o artisti, che hanno in qualche modo influenzato la sua scrittura?
Forte influenza dalle opere e dagli scritti di Van Gogh, P.Picasso, P.Klee e W.Kandinsky.
Oltre a quello trattato nel suo libro, quali altri generi letterari predilige?
Cultore appassionato delle opere di E.A.Poe, F.Celine, A.Gide e P.P.Pasolini.
Preferisce il libro tradizionale cartaceo o quello digitale?
Nessuna preferenza. Entrambi perfetti per la loro fascia di lettori.
Per terminare, qual è stato il suo rapporto con la scrittura, durante la composizione del libro.
Il mio rapporto con la scrittura è intimo, nel senso letterale della parola. Tengo corsi di scrittura creativa da più di 10 anni e il mio modello è H.de Balzac: una pila di fogli bianchi a sinistra al mattino e 8 ore dopo, una pila di fogli scritti a destra. Il computer facilita enormemente la redazione: copio su carta quello che ho in testa in quel momento, ispirandomi a Picasso: copio su tela quello che la mente vede in quel momento.
Un motivo per cui lei comprerebbe Una madre ebrea se non lo avesse scritto.
Solo perché parla di una madre, indefinita e per giunta ebrea, lo comprerei subito.
Ha in progetto altre opere da scrivere nel prossimo futuro? In caso affermativo, può darcene una anticipazione?
Ho in cantiere una Trilogia di volumi di racconti brevi e brevissimi, con circa 180 racconti pronti da inviare all’Editore.
Devo aggiungere che è appena uscito in libreria Aio, una storia vera, 30 anni di scritti dal carcere, finalista con medaglia al premio Internazionale Salvatore Quasimodo.
Vincenzo Rampolla
30 agosto 2020