L'Anima del Baobab
Quando nel giorno del suo sessantesimo compleanno Davide decide di andare in Africa per dedicarsi ai poveri e ai malati,in realtà parte alla ricerca di se stesso e della sua anima. Entra in un mondo sconosciuto, popolato da una miriade di personaggi, infidi e misteriosi come gli animali e le piante della savana che lo circondano. Affascinato da quel mondo si abbandona alla scoperta dei simboli, delle leggi tribali, dei riti, degli Spiriti del Bene e del Male che regolano e dominano la vita dell’Africa dei Tropici. Irretito da un potente stregone, si lascia sedurre dalla sua bellissima figlia che lo trascina in un vortice di trasgressioni e di passioni, fino a subire l’emarginazione dalla comunità religiosa che lo ospita. Davide diviene l’infedele, il giudeo eretico che grazie all’iniziazione sciamanica ricevuta ha liberato l’energia vitale celata nelle sue mani e ha acquisito il potere di guarigione dei malati. L’anima del baobab scava nell’eterno conflitto tra verità e finzione e attraverso il quotidiano confronto con l’amore, l’onestà, la miseria umana e i loro contrari porta il lettore a oscillare perennemente tra il reale e l’apparenza, il credibile e l’inganno. “L’Africa mi ha rubato l’anima e me l’ha resa” – esordisce presentando al pubblico le sue storie africane – “mi ha assolto dall’angoscia della verità, mi ha liberato dal vizio del rimorso e della sincerità… nell’Africa dei Tropici ho incontrato la morte e abbracciato la follia”..
€ 18,50
Informazioni bibliografiche
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Informazioni bibliografiche
- Titolo del Libro: L'anima del baobab. Una cronaca del XXI secolo Autore : Vincenzo Rampolla
- Editore: Europa Edizioni (Roma) Collana: Edificare universi
- Data di Pubblicazione: 2015 Genere: letteratura italiana: testi
- ISBN-10: 8868544997 ISBN-13: 9788868544997
Estratto del capitolo XI The Adept:
La tavola sussultò pesantemente, oscillò e lentamente si arrestò. Il buio, freddo di morte, lo investì e una grande stuoia si svolse lassù e oscurò la bocca: in quell’istante incespicò nel Nulla e le mani afferravano le tenebre e viveva la paura.
“E ora? Dove mi sono cacciato, pezzo d’idiota? Mi sono fatto fregare da quei due balordi e mi ritrovo nudo come un verme, in un pozzo senza fine. E se fosse una scusa per derubarmi e lasciarmi crepare nel baratro? Gesù, che pazzia!
Quei due fanno sul serio! Bella trovata il Ventre del Cosmo… con l’iniziazione lei ti ha incastrato e quel vecchio drogato ti ha venduto al demonio per quattro soldi. Credevi di farti una passeggiata… due passi nella savana…?
Chi mi tira fuori da qui, se mi capita un accidente? Ehi! Lassù… ci vediamo domani? Maledetti! Dove siete? Eeehi! Enoch… Enoch… bastardo d’uno stregone. Rachel… siete lì a spiarmi…? Dove siete? Che storia è questa? Che ci faccio qua sotto? Mica son venuto in Africa a crepare di freddo in un lurido pozzo! Dio… mi sono ficcato io qua dentro! Al diavolo l’iniziazione! Iniziazione a che?
L’hai voluta tu, no? Coglione che sei!”.
Davide urlava e si scalmanava e oscillava e la sua voce si spegneva sorda nella stuoia che tappava la bocca. Anche l’eco era scomparsa da quel budello. Ogni rumore, ogni bisbiglio moriva sul nascere. Una corrente fredda gli investì i piedi, fino al ginocchio. La fune era ferma e il corpo immobile. Davide cessò di imprecare contro il Nulla. Si calmò. Pensò a quante ore lo separavano dal ritorno alla luce.
“E adesso? Gran pezzo d’idiota! Volevi ballare… e balla!”.
Dopo interminabili e coraggiose manovre riuscì a sedersi, incrociò le gambe e restò aggrappato alle funi con le braccia alzate. Era fuori di sé. Furente con se stesso, per la sua follia e le sue manie, furente per essere caduto nella rete delle erbe medicinali e delle pratiche magiche.
“Tutto per quelle bacche e la brodaglia di ieri! Con quel siero bianco mi han torchiato le budella, tappato il culo, fatto pisciare e mi sono cagato sotto dalla fifa… Perché farmi liberare l’intestino prima di calarmi? Fottute bacche! Il freddo e questa dannata umidità mi uccidono… forse mi hanno strizzato a dovere per non inquinare il pozzo! E se piscio? Quest’acqua è santa! Non si tocca! Non è un pozzo qualunque, questo… C’è l’oasi, con tanto di baobab bianco e sorgente. È il Santuario della savana, il luogo sacro di cui parlano tutti. Qui si viene per pregare, non per affogare la gente nel pozzo. Maledetto stregone! Tu e quella troia di tua figlia che si fa inforcare da tutti. Porcona! Tre figli da tre uomini diversi… Mi sono fatto incantare da due disperati.
Che ti frega degli uomini di Rachel! Sei un merlo e un gran babbeo!
Un coglione, ecco cosa sono! Coglioneeee… un grande coglione… il più grande coglione che mai abbia messo piede in Africa.
Se si sapesse alla Missione… saresti sulla bocca di tutti e in Italia dovresti andare a nasconderti. Te li vedi i titoli dei giornali: Misteriosa scomparsa di un italiano in Africa, La tragedia dell’italiano scomparso: ritrovato nudo in un pozzo sperduto nella savana, Il mistero del cadavere in un pozzo ai tropici. Riti infernali? Vendetta degli indigeni?… Dio, che vergogna!
Davide, sei un pezzo di merda! Ecco cosa sei: un gran pezzo di merda!!!”.
Sfinito dal freddo e dalla fatica, Davide cessò di imprecare.
“E ora? Dove mi sono cacciato, pezzo d’idiota? Mi sono fatto fregare da quei due balordi e mi ritrovo nudo come un verme, in un pozzo senza fine. E se fosse una scusa per derubarmi e lasciarmi crepare nel baratro? Gesù, che pazzia!
Quei due fanno sul serio! Bella trovata il Ventre del Cosmo… con l’iniziazione lei ti ha incastrato e quel vecchio drogato ti ha venduto al demonio per quattro soldi. Credevi di farti una passeggiata… due passi nella savana…?
Chi mi tira fuori da qui, se mi capita un accidente? Ehi! Lassù… ci vediamo domani? Maledetti! Dove siete? Eeehi! Enoch… Enoch… bastardo d’uno stregone. Rachel… siete lì a spiarmi…? Dove siete? Che storia è questa? Che ci faccio qua sotto? Mica son venuto in Africa a crepare di freddo in un lurido pozzo! Dio… mi sono ficcato io qua dentro! Al diavolo l’iniziazione! Iniziazione a che?
L’hai voluta tu, no? Coglione che sei!”.
Davide urlava e si scalmanava e oscillava e la sua voce si spegneva sorda nella stuoia che tappava la bocca. Anche l’eco era scomparsa da quel budello. Ogni rumore, ogni bisbiglio moriva sul nascere. Una corrente fredda gli investì i piedi, fino al ginocchio. La fune era ferma e il corpo immobile. Davide cessò di imprecare contro il Nulla. Si calmò. Pensò a quante ore lo separavano dal ritorno alla luce.
“E adesso? Gran pezzo d’idiota! Volevi ballare… e balla!”.
Dopo interminabili e coraggiose manovre riuscì a sedersi, incrociò le gambe e restò aggrappato alle funi con le braccia alzate. Era fuori di sé. Furente con se stesso, per la sua follia e le sue manie, furente per essere caduto nella rete delle erbe medicinali e delle pratiche magiche.
“Tutto per quelle bacche e la brodaglia di ieri! Con quel siero bianco mi han torchiato le budella, tappato il culo, fatto pisciare e mi sono cagato sotto dalla fifa… Perché farmi liberare l’intestino prima di calarmi? Fottute bacche! Il freddo e questa dannata umidità mi uccidono… forse mi hanno strizzato a dovere per non inquinare il pozzo! E se piscio? Quest’acqua è santa! Non si tocca! Non è un pozzo qualunque, questo… C’è l’oasi, con tanto di baobab bianco e sorgente. È il Santuario della savana, il luogo sacro di cui parlano tutti. Qui si viene per pregare, non per affogare la gente nel pozzo. Maledetto stregone! Tu e quella troia di tua figlia che si fa inforcare da tutti. Porcona! Tre figli da tre uomini diversi… Mi sono fatto incantare da due disperati.
Che ti frega degli uomini di Rachel! Sei un merlo e un gran babbeo!
Un coglione, ecco cosa sono! Coglioneeee… un grande coglione… il più grande coglione che mai abbia messo piede in Africa.
Se si sapesse alla Missione… saresti sulla bocca di tutti e in Italia dovresti andare a nasconderti. Te li vedi i titoli dei giornali: Misteriosa scomparsa di un italiano in Africa, La tragedia dell’italiano scomparso: ritrovato nudo in un pozzo sperduto nella savana, Il mistero del cadavere in un pozzo ai tropici. Riti infernali? Vendetta degli indigeni?… Dio, che vergogna!
Davide, sei un pezzo di merda! Ecco cosa sei: un gran pezzo di merda!!!”.
Sfinito dal freddo e dalla fatica, Davide cessò di imprecare.
Com’è che sta in piedi questo pozzo? E le pareti? C’è fango o pietra? Sottoterra c’è argilla e poi sabbia e sassi e poi roccia! E la parete… com’è la parete?
È la parete di un pozzo, di un profondissimo pozzo di acqua pura, scavato dall’uomo.
E allora? Che stronzata! Quest’iniziazione è tutta una presa per il culo! Bella messa in scena… volete vedere quanto resiste un azungu nudo e infilato nel buco nero? Venite, venite al misterioso, magico, prodigioso Ventre del Cosmo! Ventre di che? È un pozzo d’acqua fresca questo, né più né meno, vecchio di mille anni e mi han sbattuto dentro per vedere se resisto o se schiatto!
Tieni duro, Davide, tieni fino a domani… stai calmo e ragiona. È un pozzo inquinato, pieno di acqua fetida? Nooo! È infestato da serpenti, topi, mostri o sanguisughe? Nooo! Che c’è qua sotto? Che c’è, perdio? Acqua e Davide! Davide e acqua! Che altro c’è? Che altrooo…?”.
Davide esplose in una risata isterica. Ghignava dal dolore. Ghignava per la vergogna e urlava di paura e disperazione. Urlava e deformava la bocca spalancata dal terrore. Si contrasse e dal tronco lentamente estrasse il collo, lo inarcò in avanti e sui lati. La pelle si dilatò e divenne diafana. La testa si deformava, era minuta e perdeva ogni proporzione. Gradualmente si restringeva fino a confondersi con l’enorme cavità della bocca, ingrandita oltremisura dalla risata. Per lo sforzo la gengiva superiore si gonfiava. Vibrava, gemeva, emetteva un richiamo selvaggio di animale, si sollevava e scopriva all’esterno i denti superiori. Azzannava il buio e liberava nuove risate. Le guance e le mascelle dilatate avevano diradato a dismisura i denti inferiori. Le cavità nasali erano tese e livide e lasciavano spazio ai soli occhi, incavati e affossati, punti brillanti, pronti a ricevere l’esplosione. Era la follia! Era l’estasi del delirio! Davide prese a mulinare quel collo retrattile e snodato. Agitò i minuscoli occhi alla ricerca della complicità degli Spiriti che lo circondavano. Nell’impenetrabile buio che l’opprimeva, la testa vacillò. Si impennò trafitta da un tremito convulso. Lentamente discese e la gigantesca bocca vibrò e nell’apice estremo della risata, sulla tavola sgorgarono dal collo rivoli di sudore. Il vorticoso tambureggiare delle mani sul ventre lo trasformò orrendamente nel babbuino in preda all’esaltazione dell’unione e quella selvaggia mutazione scatenò violenti movimenti del corpo… e la tavola vibrava e incontrollata roteava… le gambe cedettero, scivolarono… caddero fuori della tavola… Davide volteggiava e annaspava nel vuoto. Solo le mani avvinghiate alle funi lo trattenevano. Ogni sforzo per raddrizzare la tavola, immensa e verticale, aumentava le oscillazioni incontrollate di quel pendolo umano. Le pareti del pozzo si dilatarono all’infinito e attanagliò gli anelli e attese con terrore l’arresto della tavola.
“Merda! Tieni duro, Davide! Se molli, vai dritto all’inferno! Non scalpitare! Lavora di braccia. Fermo! Stringi… ancora… gambe ferme, distese, rilassate. Occhi chiusi… Sollevati… su… su. Gambe piegate… Ora l’anello, con il piede, l’anello… Ecco… ci sei!”.
La sinistra si aprì e si avvinghiò al bordo della tavola e i muscoli gonfi di terrore fecero l’ultimo sforzo e il ventre esanime giacque sulla tavola orizzontale, di nuovo in preda al suo moto perpetuo. Sussultò e si riebbe dai crampi e la morsa del freddo gli attanagliava la testa e gli squassava il ventre. “Perdio! Ce l’ho fatta! Rieccomi su questa dannata tavola… la testa mi scoppia. Ho visto la morte ai piedi… lo giuro. L’ho sentita… mi ha preso… ancora la sento… pronto a scomparire nel Nulla… per sempre”.
Tremava seduto e la gola ardeva. Un’aria gelida soffiò su ventre e gambe, e tronco e spalle e testa coperti di sudore.
“Enoch aveva ragione… il Ventre del Cosmo! Qui si apre l’imbuto della sorgente sotterranea e la corrente d’aria mi investe da sotto. Mi taglia a metà. Devo essere al limite tra la fine del pozzo-vagina e l’inizio dell’utero cosmico. È qui che finiscono le pareti! Sento il respiro del lago sotterraneo…
Calma ora… prendi fiato. Sei vivo… vivo per miracolo! L’hai fatta franca… te la cavi sempre…
Ho sete… circondato da acqua… neanche un sorso per me!”.
Davide mise mano al suo profilattico di legno.
“Proteggere il cazzo da cosa? Vietato pisciare… ma chi mi vede se svuoto la vescica? Chi mi sente? Chi ha detto che il mio piscio o il mio sterco riducono il lago intero in putrido liquame? Ehiii… Spiriti del buio, Spiriti dell’acqua e del freddo, Spiriti dell’inferno… c’è qualcuno interessato al mio piscio, al mio membro…? Che ne faccio di questo schifo di condom… fa parte della mascherata?”.
Davide rigirava tra le dita quel manicotto di legno di zucca, leggero e bitorzoluto. Lo palpò e lo studiò, ben attento a non farselo sfuggire di mano. La testa gli martellava e sentiva la febbre salire dalla gola e dal petto. Lo impugnò e sdraiato sull’asse scrutò la bocca nera del pozzo. Doveva bere ed era appeso a un filo. Ciondolava e qualche metro sotto c’era acqua, solo acqua, un immenso e muto lago sotterraneo pieno d’acqua.
È la parete di un pozzo, di un profondissimo pozzo di acqua pura, scavato dall’uomo.
E allora? Che stronzata! Quest’iniziazione è tutta una presa per il culo! Bella messa in scena… volete vedere quanto resiste un azungu nudo e infilato nel buco nero? Venite, venite al misterioso, magico, prodigioso Ventre del Cosmo! Ventre di che? È un pozzo d’acqua fresca questo, né più né meno, vecchio di mille anni e mi han sbattuto dentro per vedere se resisto o se schiatto!
Tieni duro, Davide, tieni fino a domani… stai calmo e ragiona. È un pozzo inquinato, pieno di acqua fetida? Nooo! È infestato da serpenti, topi, mostri o sanguisughe? Nooo! Che c’è qua sotto? Che c’è, perdio? Acqua e Davide! Davide e acqua! Che altro c’è? Che altrooo…?”.
Davide esplose in una risata isterica. Ghignava dal dolore. Ghignava per la vergogna e urlava di paura e disperazione. Urlava e deformava la bocca spalancata dal terrore. Si contrasse e dal tronco lentamente estrasse il collo, lo inarcò in avanti e sui lati. La pelle si dilatò e divenne diafana. La testa si deformava, era minuta e perdeva ogni proporzione. Gradualmente si restringeva fino a confondersi con l’enorme cavità della bocca, ingrandita oltremisura dalla risata. Per lo sforzo la gengiva superiore si gonfiava. Vibrava, gemeva, emetteva un richiamo selvaggio di animale, si sollevava e scopriva all’esterno i denti superiori. Azzannava il buio e liberava nuove risate. Le guance e le mascelle dilatate avevano diradato a dismisura i denti inferiori. Le cavità nasali erano tese e livide e lasciavano spazio ai soli occhi, incavati e affossati, punti brillanti, pronti a ricevere l’esplosione. Era la follia! Era l’estasi del delirio! Davide prese a mulinare quel collo retrattile e snodato. Agitò i minuscoli occhi alla ricerca della complicità degli Spiriti che lo circondavano. Nell’impenetrabile buio che l’opprimeva, la testa vacillò. Si impennò trafitta da un tremito convulso. Lentamente discese e la gigantesca bocca vibrò e nell’apice estremo della risata, sulla tavola sgorgarono dal collo rivoli di sudore. Il vorticoso tambureggiare delle mani sul ventre lo trasformò orrendamente nel babbuino in preda all’esaltazione dell’unione e quella selvaggia mutazione scatenò violenti movimenti del corpo… e la tavola vibrava e incontrollata roteava… le gambe cedettero, scivolarono… caddero fuori della tavola… Davide volteggiava e annaspava nel vuoto. Solo le mani avvinghiate alle funi lo trattenevano. Ogni sforzo per raddrizzare la tavola, immensa e verticale, aumentava le oscillazioni incontrollate di quel pendolo umano. Le pareti del pozzo si dilatarono all’infinito e attanagliò gli anelli e attese con terrore l’arresto della tavola.
“Merda! Tieni duro, Davide! Se molli, vai dritto all’inferno! Non scalpitare! Lavora di braccia. Fermo! Stringi… ancora… gambe ferme, distese, rilassate. Occhi chiusi… Sollevati… su… su. Gambe piegate… Ora l’anello, con il piede, l’anello… Ecco… ci sei!”.
La sinistra si aprì e si avvinghiò al bordo della tavola e i muscoli gonfi di terrore fecero l’ultimo sforzo e il ventre esanime giacque sulla tavola orizzontale, di nuovo in preda al suo moto perpetuo. Sussultò e si riebbe dai crampi e la morsa del freddo gli attanagliava la testa e gli squassava il ventre. “Perdio! Ce l’ho fatta! Rieccomi su questa dannata tavola… la testa mi scoppia. Ho visto la morte ai piedi… lo giuro. L’ho sentita… mi ha preso… ancora la sento… pronto a scomparire nel Nulla… per sempre”.
Tremava seduto e la gola ardeva. Un’aria gelida soffiò su ventre e gambe, e tronco e spalle e testa coperti di sudore.
“Enoch aveva ragione… il Ventre del Cosmo! Qui si apre l’imbuto della sorgente sotterranea e la corrente d’aria mi investe da sotto. Mi taglia a metà. Devo essere al limite tra la fine del pozzo-vagina e l’inizio dell’utero cosmico. È qui che finiscono le pareti! Sento il respiro del lago sotterraneo…
Calma ora… prendi fiato. Sei vivo… vivo per miracolo! L’hai fatta franca… te la cavi sempre…
Ho sete… circondato da acqua… neanche un sorso per me!”.
Davide mise mano al suo profilattico di legno.
“Proteggere il cazzo da cosa? Vietato pisciare… ma chi mi vede se svuoto la vescica? Chi mi sente? Chi ha detto che il mio piscio o il mio sterco riducono il lago intero in putrido liquame? Ehiii… Spiriti del buio, Spiriti dell’acqua e del freddo, Spiriti dell’inferno… c’è qualcuno interessato al mio piscio, al mio membro…? Che ne faccio di questo schifo di condom… fa parte della mascherata?”.
Davide rigirava tra le dita quel manicotto di legno di zucca, leggero e bitorzoluto. Lo palpò e lo studiò, ben attento a non farselo sfuggire di mano. La testa gli martellava e sentiva la febbre salire dalla gola e dal petto. Lo impugnò e sdraiato sull’asse scrutò la bocca nera del pozzo. Doveva bere ed era appeso a un filo. Ciondolava e qualche metro sotto c’era acqua, solo acqua, un immenso e muto lago sotterraneo pieno d’acqua.
Durò un solo istante e lassù la bocca si fece incandescente.
“Che succede? Che fanno ora? Hanno subito richiuso. Non può essere già domani. È presto! Che ora sarà? Forse è un segnale. Mi hanno sparato un lampo in faccia! Per dirmi l’ora? Che me ne faccio dell’ora! Uhm… Diamo un’occhiata: c’è ancora l’azungu? Com’è? Che fa? Vi sento, bastardi. Siete lassù… Tra quante ore butterete quella maledetta stuoia? Devo bere… ho bisogno di bere! La febbre sale ancora e questi tremiti mi uccidono… i denti picchiano, impazzano, si sgretolano… sto male… sto malissimo…”.
(Macchinalmente) A fatica Davide infilò tra i denti l’apertura del collo di zucca e incise leggermente quel legno tenero e spugnoso. Nella fessura ficcò il lungo laccio, ripeté l’operazione nel punto opposto del bordo e fissò il laccio tra le due fessure. Lasciò scendere lentamente nel vuoto quel lungo calice di legno e pregò il Signore che arrivasse al pelo dell’acqua. Sfiorò l’acqua… la toccò. Lo sentì riemergere pesante e pieno e bevve l’acqua del sacro Ventre del Cosmo. “Acqua, acqua fresca… acqua di vita”.
Continuò finché l’arsura alla gola sembrò calmarsi. Seduto e sfinito, era nudo nel corpo e nell’anima.
Un alito gelido e il buio gli avevano sferzato le gambe e la paura, quella vera, mai vista, mai sentita e toccata prima d’ora, l’aveva resuscitato. Immobile, il mento era reclinato sul petto e gli occhi serrati si riempirono di lacrime. Pianto di gioia, pianto di vergogna, pianto di disperazione. Lacrime per l’uomo pazzo e incosciente. Incrociò le gambe con un gesto familiare, ripetuto migliaia di volte. Poggiò il dorso di ogni mano sulle ginocchia, chiuse gli occhi e chiamò a raccolta gli Spiriti delle tenebre sui palmi delle mani. La schiena eretta era perfettamente verticale e la tavola immobile. Un leggero moto del corpo deviò dolcemente la tavola: oscillò muta, senza aria, senza luce, senza incenso. Davide si lasciò andare in quel budello vuoto e quel moto pareva perpetuo e solo il buio poteva tenerlo vivo, solo la sua mente poteva spegnerlo.
Fu l’ abbandono totale, la meditazione nel Ventre del Cosmo. Pregò il Signore. Pregò Jahvè. Pregò gli Spiriti dei Tropici, piegato ai loro voleri. Una doccia fredda e luminosa lo penetrò. Dalla testa scese attraverso la schiena e invase l’addome. Un formicolio alle gambe e ai piedi lo ridestò dal breve torpore che l’aveva assalito. Con lenti e interminabili movimenti incollò alla tavola schiena e gambe. Formò una croce con le braccia aperte e le gambe divaricate e mani e piedi infilati ognuno in un anello.
“Anelli neri, ruvidi di ruggine. Anelli infissi da generazioni, anelli inchiodati dalle mani degli sciamani… fune solida e dura, fune nera come le pareti. Quante mani ti avranno serrata, afferrata, abbandonata nella disperazione? Ventre del Cosmo, esisti! Quanti uomini dal corpo sbiancato hanno trascorso notti di terrore su questa tavola, immersi in preghiera? La strega e il vecchio barbone non m’hanno giocato… Non un gesto, non una parola, non un’imbeccata. Mi hanno lasciato andare. Mister David vuole l’iniziazione? Eccolo servito: droga leggera d’antipasto e cottura al punto giusto; pisciatina rituale con strisce colorate qua e là sul corpo. Un salva-fallo contro i demoni acchiappa-cazzi e via! A mollo nel buco nero per l’abbraccio degli Spiriti. Ecco a voi l’ultimo sport estremo dei tropici! Venghino, signori! Venghino!
Vietato l’ingresso ai pivelli… roba per soli esperti. Semplice, no! E il manuale delle istruzioni? Non serve, non serve, non serve…”.
I brividi discesero per la schiena e la testa fu trafitta da fendenti di machete e latrati di iene.
“Quante volte Enoch mi ha ripetuto quella cantilena, senza aggiungere altro! Non scrivere nulla, diceva. Imparala. Non dimenticarla!
Porgi senza sosta l’orecchio
alle cose più che ai viventi:
udrai l’alito del fuoco
e la voce dell’acqua.
Ascolta il singhiozzo delle messi
sferzate dal vento:
è il respiro dei nostri padri.
Mai i morti
ci hanno abbandonato.
Dimorano nell’ombra che si illumina
e in quella che prende forme.
Non giacciono sotto terra
e si nascondono
nei fremiti dell’albero
nei gemiti del legno
nel ruscello
e nello stagno.
Ovunque li troverai,
nelle piccole cose
e tra la folla.
I morti
non sono morti”.
“Che succede? Che fanno ora? Hanno subito richiuso. Non può essere già domani. È presto! Che ora sarà? Forse è un segnale. Mi hanno sparato un lampo in faccia! Per dirmi l’ora? Che me ne faccio dell’ora! Uhm… Diamo un’occhiata: c’è ancora l’azungu? Com’è? Che fa? Vi sento, bastardi. Siete lassù… Tra quante ore butterete quella maledetta stuoia? Devo bere… ho bisogno di bere! La febbre sale ancora e questi tremiti mi uccidono… i denti picchiano, impazzano, si sgretolano… sto male… sto malissimo…”.
(Macchinalmente) A fatica Davide infilò tra i denti l’apertura del collo di zucca e incise leggermente quel legno tenero e spugnoso. Nella fessura ficcò il lungo laccio, ripeté l’operazione nel punto opposto del bordo e fissò il laccio tra le due fessure. Lasciò scendere lentamente nel vuoto quel lungo calice di legno e pregò il Signore che arrivasse al pelo dell’acqua. Sfiorò l’acqua… la toccò. Lo sentì riemergere pesante e pieno e bevve l’acqua del sacro Ventre del Cosmo. “Acqua, acqua fresca… acqua di vita”.
Continuò finché l’arsura alla gola sembrò calmarsi. Seduto e sfinito, era nudo nel corpo e nell’anima.
Un alito gelido e il buio gli avevano sferzato le gambe e la paura, quella vera, mai vista, mai sentita e toccata prima d’ora, l’aveva resuscitato. Immobile, il mento era reclinato sul petto e gli occhi serrati si riempirono di lacrime. Pianto di gioia, pianto di vergogna, pianto di disperazione. Lacrime per l’uomo pazzo e incosciente. Incrociò le gambe con un gesto familiare, ripetuto migliaia di volte. Poggiò il dorso di ogni mano sulle ginocchia, chiuse gli occhi e chiamò a raccolta gli Spiriti delle tenebre sui palmi delle mani. La schiena eretta era perfettamente verticale e la tavola immobile. Un leggero moto del corpo deviò dolcemente la tavola: oscillò muta, senza aria, senza luce, senza incenso. Davide si lasciò andare in quel budello vuoto e quel moto pareva perpetuo e solo il buio poteva tenerlo vivo, solo la sua mente poteva spegnerlo.
Fu l’ abbandono totale, la meditazione nel Ventre del Cosmo. Pregò il Signore. Pregò Jahvè. Pregò gli Spiriti dei Tropici, piegato ai loro voleri. Una doccia fredda e luminosa lo penetrò. Dalla testa scese attraverso la schiena e invase l’addome. Un formicolio alle gambe e ai piedi lo ridestò dal breve torpore che l’aveva assalito. Con lenti e interminabili movimenti incollò alla tavola schiena e gambe. Formò una croce con le braccia aperte e le gambe divaricate e mani e piedi infilati ognuno in un anello.
“Anelli neri, ruvidi di ruggine. Anelli infissi da generazioni, anelli inchiodati dalle mani degli sciamani… fune solida e dura, fune nera come le pareti. Quante mani ti avranno serrata, afferrata, abbandonata nella disperazione? Ventre del Cosmo, esisti! Quanti uomini dal corpo sbiancato hanno trascorso notti di terrore su questa tavola, immersi in preghiera? La strega e il vecchio barbone non m’hanno giocato… Non un gesto, non una parola, non un’imbeccata. Mi hanno lasciato andare. Mister David vuole l’iniziazione? Eccolo servito: droga leggera d’antipasto e cottura al punto giusto; pisciatina rituale con strisce colorate qua e là sul corpo. Un salva-fallo contro i demoni acchiappa-cazzi e via! A mollo nel buco nero per l’abbraccio degli Spiriti. Ecco a voi l’ultimo sport estremo dei tropici! Venghino, signori! Venghino!
Vietato l’ingresso ai pivelli… roba per soli esperti. Semplice, no! E il manuale delle istruzioni? Non serve, non serve, non serve…”.
I brividi discesero per la schiena e la testa fu trafitta da fendenti di machete e latrati di iene.
“Quante volte Enoch mi ha ripetuto quella cantilena, senza aggiungere altro! Non scrivere nulla, diceva. Imparala. Non dimenticarla!
Porgi senza sosta l’orecchio
alle cose più che ai viventi:
udrai l’alito del fuoco
e la voce dell’acqua.
Ascolta il singhiozzo delle messi
sferzate dal vento:
è il respiro dei nostri padri.
Mai i morti
ci hanno abbandonato.
Dimorano nell’ombra che si illumina
e in quella che prende forme.
Non giacciono sotto terra
e si nascondono
nei fremiti dell’albero
nei gemiti del legno
nel ruscello
e nello stagno.
Ovunque li troverai,
nelle piccole cose
e tra la folla.
I morti
non sono morti”.
Dalle pareti del pozzo, viscide e fangose, fatte di pietre e rocce e tappezzate di alghe e radici dei baobab, stillava il dolore di Davide e si fondeva con l’energia che imbeveva il luogo.
“L’ombra che si illumina… i fremiti dell’albero… Sono le tue parole, Enoch! Volevi dare un’occhiata e vedere se c’ero ancora? Perché aprire la bocca del pozzo in quel preciso istante? Per inondarmi di energia solare, nel rito di fecondazione cosmica? Nell’esatta posizione verticale sopra il pozzo, il sole allo zenit si sarebbe infiltrato nell’antro, giù, giù in fondo… fino al pelo dell’acqua. Fino all’azungu, inchiodato a quella tavola infernale. Mi hai dato un raggio di sole, un solo lampo e l’astro ha dato energia e calore e vita al corpo morente. Acqua e luce, l’intruglio magico della vita… Quel getto di energia solare e l’acqua purificatrice hanno plasmato un nuovo uomo, un Davide rigenerato, purificato dal male, pronto a infondere agli altri la sua energia vitale…”.
Davide pregò a lungo ed era un corpo unico con quella tavola e il calore che stava nascendo in lui si diffondeva ovunque nelle ossa, nella pelle e nelle vene, e di lì a poco avrebbe sovrastato il fuoco della febbre. La temperatura scese, ma subito s’impennò e le convulsioni scossero il corpo; (e) la tavola su cui era abbarbicato oscillò paurosamente. Il respiro si fece affannoso e un macigno torchiò l’addome: (e) l’urlo fu terrificante. Era un grido animalesco di liberazione, il tuono della rinascita. Era il vomito della sua follia, il rigurgito dei suoi mali.
“Informi macchie di colore guizzano tra le pupille e sfilano in moto vorticoso, dal rosso al violetto. Si gonfiano, si ingigantiscono, si incupiscono… esplodono a catena e tutte si avvitano nel vortice di una sfera candida che sgorga dal cuore. Riveste l’intero corpo, si muove e vaga nel Ventre del Cosmo, (e) finché si libra spinta dall’alito degli Spiriti”.
Vagò e nuotò. La sfera salì e ruotò e si aprì in infiniti petali.
“Una moltitudine di spiriti bianchi, con segni rossi e gialli dipinti sul corpo, mi circonda, mi assale e si fonde dissolta dalla luce. Come gli altri, mi rivesto anch’io di bianco e rosso e giallo…”.
Il buio accarezzò Davide e lo chiuse nel suo bozzolo e gli parlò. I pugni stretti si aprirono e si chiusero ritmicamente. Davide con le mani beveva l’energia del buio, la cercava, la succhiava, l’aspirava nell’anima… Bevve il fuoco della luna e il fuoco delle stelle. Sentì il fuoco nei centri di energia del suo corpo. L’odore selvatico del corpo di Rachel lo avvolse e l’impregnò.
Inspirava… espirava… inspirava… espirava…
“L’ombra che si illumina… i fremiti dell’albero… Sono le tue parole, Enoch! Volevi dare un’occhiata e vedere se c’ero ancora? Perché aprire la bocca del pozzo in quel preciso istante? Per inondarmi di energia solare, nel rito di fecondazione cosmica? Nell’esatta posizione verticale sopra il pozzo, il sole allo zenit si sarebbe infiltrato nell’antro, giù, giù in fondo… fino al pelo dell’acqua. Fino all’azungu, inchiodato a quella tavola infernale. Mi hai dato un raggio di sole, un solo lampo e l’astro ha dato energia e calore e vita al corpo morente. Acqua e luce, l’intruglio magico della vita… Quel getto di energia solare e l’acqua purificatrice hanno plasmato un nuovo uomo, un Davide rigenerato, purificato dal male, pronto a infondere agli altri la sua energia vitale…”.
Davide pregò a lungo ed era un corpo unico con quella tavola e il calore che stava nascendo in lui si diffondeva ovunque nelle ossa, nella pelle e nelle vene, e di lì a poco avrebbe sovrastato il fuoco della febbre. La temperatura scese, ma subito s’impennò e le convulsioni scossero il corpo; (e) la tavola su cui era abbarbicato oscillò paurosamente. Il respiro si fece affannoso e un macigno torchiò l’addome: (e) l’urlo fu terrificante. Era un grido animalesco di liberazione, il tuono della rinascita. Era il vomito della sua follia, il rigurgito dei suoi mali.
“Informi macchie di colore guizzano tra le pupille e sfilano in moto vorticoso, dal rosso al violetto. Si gonfiano, si ingigantiscono, si incupiscono… esplodono a catena e tutte si avvitano nel vortice di una sfera candida che sgorga dal cuore. Riveste l’intero corpo, si muove e vaga nel Ventre del Cosmo, (e) finché si libra spinta dall’alito degli Spiriti”.
Vagò e nuotò. La sfera salì e ruotò e si aprì in infiniti petali.
“Una moltitudine di spiriti bianchi, con segni rossi e gialli dipinti sul corpo, mi circonda, mi assale e si fonde dissolta dalla luce. Come gli altri, mi rivesto anch’io di bianco e rosso e giallo…”.
Il buio accarezzò Davide e lo chiuse nel suo bozzolo e gli parlò. I pugni stretti si aprirono e si chiusero ritmicamente. Davide con le mani beveva l’energia del buio, la cercava, la succhiava, l’aspirava nell’anima… Bevve il fuoco della luna e il fuoco delle stelle. Sentì il fuoco nei centri di energia del suo corpo. L’odore selvatico del corpo di Rachel lo avvolse e l’impregnò.
Inspirava… espirava… inspirava… espirava…